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Pink, Purple and Blue
05/10/2019

Pink, Purple and Blue

I colori costituiscono il filo conduttore che collega le ricerche delle artiste Silvia Bigi, Ulrike Königshofer e Marina Rosso presentate nella mostra Pink, Purple and Blue. Oggetto stesso della ricerca o ponte per riflettere su questioni legate a tematiche specifiche - che vanno dalla percezione, alla memoria, fino all’etica -, il colore viene analizzato dalle tre artiste attraverso le lenti e i canoni estetici del medium fotografico.



I viola che connotano Florilegio(2019), il lavoro di Marina Rosso, sono creati in laboratorio attraverso la modificazione genetica di tre specie floreali: i garofani, le rose e i crisantemi. Questi fiori, in simili tonalità, non esistevano in natura fino a quando aziende specializzate in biotecnologie - spinte dall’elevata richiesta di rarità floreali - sono riuscite a inserire nel DNA delle piante il gene dei colori blu e viola. Posti in luce dall’artista attraverso i codici estetici della natura morta e degli antichi erbari, i fiori sollevano riflessioni sulla loro stessa natura, suscitando reazioni contrapposte tra quanti guardano con entusiasmo ai progressi dell’ingegneria genetica e coloro che si ritengono contrari a questo genere di sperimentazioni per ragioni etiche.



Le opere della serie On the Other Side of the Sky(2019) di Ulrike Königshofersono esito della residenza che l’artista ha condotto la scorsa primavera nell’ambito del programma AiR Trieste, supportata dal Dipartimento culturale della Regione Stiria (Austria). Il cliché della fotografia di tramonto è qui utilizzato per sottolineare l’arbitrarietà della percezione visiva di simili fenomeni naturali. I dittici sono infatti composti da immagini scattate nello stesso momento, da due luoghi diversi (Vienna e Trieste) e con la macchina fotografica orientata alla stessa porzione di cielo. Incorporate nelle immagini, le indicazioni di luogo, orario e coordinate dello scatto, sono posizionate in modo da corrispondere alla localizzazione delle due città viste su una mappa. Questi dettagli spingono a ragionare sulla relatività della visione: l’aria non ha un colore di per sé, le tonalità che noi percepiamo e che la fotografia può registrare dipendono solo dalla relazione tra il cielo, il sole e l’osservatore. Come afferma l’artista, “Guardato al di sopra dell’atmosfera, il cielo, per come lo conosciamo, semplicemente scomparirebbe”. Nell’installazione Sunset recordings(2016 - ) il colore è l’unica informazione cui è ridotta la rappresentazione del tramonto, che risulta così depotenziato della sua carica emotiva e romantica.



InThe Color Theory(2019)Silvia Bigipone al centro della sua ricerca il ruolo dei colori nel rapporto tra memoria e fotografia. Punto di partenza dell’installazione è l’immagine in cui l’artista viene ritratta per la prima volta nella vita, della quale campiona le cromie per lei più significative nella memoria dell’immagine. Alcuni dei colori sono poi stampati attraverso un processo di stampa cromogenica, partito però da input di codice colore digitali, ed elevati a rango di fotografie di famiglia attraverso la scelta di cornici generalmente utilizzate in contesti privati. Nella seconda parte dell’installazione, un video mostra l’artista intenta a grattar via pigmenti di colore da fotografie selezionate dall’archivio familiare. Le polveri sono presentate al pubblico in provette, deputate alla loro preservazione, insieme alle immagini grattate. L’intero lavoro appare guidato dall’intento di fissare in modo oggettivo un processo in realtà aleatorio, sia per l’instabilità cromatica della fotografia stessa, sia per la soggettività nella lettura e nel ricordo dei colori da parte di ogni singolo spettatore.

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