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A Year Without Summer
15/11/2019

A Year Without Summer

La galleria Address è lieta di presentare la prima mostra personale dell'artista visivo Edoardo Caimi (Italia, 1989), la cui ricerca indaga le contrapposizioni tra contemporaneo e primitivo, tecnologico e tribale, società dei consumi e natura, mettendo in corto circuito questi mondi contro lo sfondo del moderno immaginario del disastro.

Nel 1816 il pianeta si coprì di una fitta nube di zolfo e pulviscolo. L’esplosione del Tambora, uno stratovulcano in Indonesia, è stata quella che in gergo tecnico si definisce VEI-7 o supercolossale: 100 km3 di materia cinerea si dispersero nell’atmosfera con un boato sentito no a 2000 km di distanza e un paio di regni spazzati via in una bolla di calore. Per un anno intero il sole fu opacizzato da strati di fuliggine, era “l’anno senza estate”, il cui ricordo e portato culturale è conservato nelle suggestioni del Romanticismo e nel rapporto tra uomo e catastrofe, tra cultura e natura, coniugate dalla sciagura dell’ultimo uomo.

La mostra A Year Without Summer di Edoardo Caimi presentata a The Address è in un certo senso glia delle suggestioni di questa piccola apocalisse stratovulcanica. I racconti e le testimonianze della neve rossa caduta in Italia, di una wasteland sterile e secca coperta da cieli ovattati, una coltre fuligginosa in stile inverno nucleare, quanta famigliarità abbiamo oggi con queste immagini. I cambiamenti e i cataclismi natural-culturali della contemporaneità hanno radici profonde in questi eventi e, un anno senza estate, magari il prossimo, non è niente di estraneo all’immaginario attuale.

Attingendo tanto alle suggestioni degli attuali scenari del disastro quanto ai territori periferici del suburbano, sici e immaginari, Caimi racconta le rovine popolate della contemporaneità. La galleria si affolla di graffiti argillosi, di macerie carbonizzate, di paglia e residui industriali, e diventa ricettacolo evocativo di una geografia infestata di segni e ruderi.

È infatti nei paesaggi impiastricciati dallo sprawl e puntellati dalle rovine logistiche di una modernità accelerata che Caimi colloca la gura del sopravvissuto e la sua pratica artistica. Il survivalist del XXI secolo naviga tra la paglia, la terra, ruderi bruciati e copertoni abbandonati nelle macerie industriali, dove il tracollo chimico e il dissesto organico sono elementi costitutivi di una natura chimerica, meticcia.

Nella mostra, i graffiti e gli outline tracciati nelle periferie in disuso, da sempre pratica cara all’artista, infestano il paesaggio naturale, rimpastano il fieno secco e l’argilla sporca con plastica e lamiere, traducendo l’immaginario post-industriale in boschi e terriccio.

Quello con cui Caimi ci mette a confronto è un paesaggio contaminato, affollato da fantasmi chimici e suoli elettrici: uno scenario che evoca pratiche tribali e di comunicazione in cui si mescolano l’immaginario suburbano e quello post-catastrofico. Sono neo-sciamanesimi, telefoni cellulari che sfrigolano nel buio ionico di una notte rossa, muschi fluorescenti su terre bruciate e mana limpido come l’acqua dei ruscelli di montagna. Rimestando le immagini e le suggestioni evocative del neo-primitivismo in chiave survivalista, e muovendosi nel conflitto insanabile tra centro e periferia, sui territori lacerati dall’urbanità e infestati dai capannoni, Caimi allestisce qui i luoghi del disastro come scenografie in cui immaginare altre forme di abitabilità.


In esposizione dal 15/11/2019 al 19/01/2020.

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