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Il “giardiniere dell’arte”: intervista a Leopoldo Innocenti
07/10/2021

Il “giardiniere dell’arte”: intervista a Leopoldo Innocenti


di Elisabetta Roncati

Abbiamo bisogno di ristabilire un rapporto con le nostre radici, con la terra, non solo quella natia, con la natura, la madre da cui tutto proviene.
Queste semplici affermazioni sono diventate imperativi pressoché categorici con la graduale uscita dalla situazione emergenziale dovuta alla pandemia. E l’arte, come spesso accade, si è fatta portatrice di tali istanze che, in altri settori, hanno preso la forma di proteste e movimenti, soprattutto giovanili, come quello del Fridays for Future.
Viste le premesse il lavoro di Leopoldo Innocenti non poteva di certo passare inosservato.
Artista toscano, classe 1994, Leopoldo si fa portavoce di una particolare ricerca personale dove temi e tecniche, che strizzano l’occhio alla contemporaneità, vanno a braccetto con un’analisi profonda della storia dell’arte, unita all’utilizzo di costruzione e disegno, per sfociare in soluzioni inedite.

Sarà lui stesso a parlarcene nelle prossime righe.

E.R. Fiorentino di nascita, diplomato nella specialistica in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze: quanto ha influito questo retroterra sulla tua creatività? Nelle tue opere si riescono ancora ad intravedere dei legami con la culla del Rinascimento?

L.I. L’accademia è un posto davvero stimolante ed aperto e sicuramente ha avuto il merito di influenzarmi interiormente scoprendo anche dei campi di ricerca nei quali mi sono artisticamente ritrovato.
Dopo la fine degli studi ho proseguito sostanzialmente da autodidatta nel mio percorso artistico, non sentendomi mai dipendente dalla storia della mia città seppur riconoscendone il fondamentale contributo.





E.R. I tuoi quadri sono assimilabili a dei piccoli ecosistemi autonomi, come si è potuto vedere nella tua ultima personale, “Terreni contaminati”, presso la fiorentina Galleria la Fonderia. Vicino al tuo studio hai un piccolo giardino che può averti ispirato. Ci spieghi questo rapporto tra arte figurativa e mondo naturale?

L.I. Dal punto di vista tecnico ho sentito il bisogno di utilizzare un metodo più versatile per dipingere e poeticamente rifiutavo la "cultura del progetto" in ambito artistico. Mi sono quindi approcciato alla natura imitandone la libertà scaturita dai suoi processi: germinazione, sedimentazione, erosione, crescita, morte, etc.. Li ho così applicati alla produzione di figure nei quadri.
Nel giardino della mia abitazione-studio ritrovo semplicemente un po' di verde che mi ricorda la natura con la quale sono stato così in contatto da ragazzo e che mi ha definito più di qualsiasi altra esperienza. Esso, inoltre, mi aiuta a riprendere contatto con i processi naturali coi quali dipingo.
Dal momento che ignoro qualsiasi implicazione concettuale e programmatica nel quadro, il rapporto tra figura e natura in essi si spiega in virtù del "modo" e non del "che’"
Le figure fanno ingresso spontaneamente nel dipinto fino a quando viene ad introdursi una forza di disequilibrio: una forma, un colore, un particolare livello di luminosità, che comporta la modifica delle altre parti. Questo processo va avanti fino a quando il lavoro non si stabilizza trovando un nuovo equilibrio.


E.R. Il disegno è estremamente importante nel tuo processo generativo: ce lo puoi illustrare? E come ti ha influenzato il supporto cartaceo che tu strappi, frantumi ed infine incolli. Perché questa scelta?


L.I. I processi naturali che ispirano il mio modo di dipingere hanno trovato riscontro nel disegno condividendone la possibilità di essere evocativo ed essenziale, quanto basta per trovare sostegno nella realizzazione dei quadri pur non "chiudendoli’"
Intendendo il quadro come opera e sistema aperto: preferisco disegnare le aggiunte e le modifiche che vorrei applicare al quadro "in streaming’", ovvero mentre lo sto dipingendo, proseguendo così per piccole estensioni.
La carta si dimostra ancora il supporto prediletto anche per il fatto di avermi naturalmente condotto al largo impiego di acqua che uso sulla sua superficie per dipingere e nella quale, assieme al legante, disciolgo il pigmento.
Questo elemento naturale interagisce con la carta, lavora assieme a me sul quadro comportandosi in maniera imprevedibile ma, al tempo stesso, conservando il ricordo della vitalità generativa della natura.


E.R. Ci descrivi un'opera esposta da Galleria la Fonderia su Artsail che rispecchia particolarmente la tua poetica?

L.I. L’opera che risponde meglio alla domanda è senza dubbio "In riva all’Arno", ponendosi quale modello per il discorso fin qui fatto. Infatti è nata da una piccola parte che non intendevo inizialmente utilizzare ma, grazie ad incollaggi successivi, si è progressivamente ampliata crescendo fino all’ottenimento della sua forma definitiva con struttura definita da queste due figure laterali.
In essa convivono immagini minori parzialmente visibili e può essere letta come un diario in presa diretta, sul quale sono riportate inquietudini, riflessioni, tracce di vita.






Genovese di nascita, milanese d’adozione, Elisabetta Roncati ha deciso di unire formazione universitaria economica/manageriale e passione per la cultura con un unico obbiettivo: avvicinare le persone all’arte in maniera chiara, facilmente comprensibile e professionale. Interessata ad ogni forma di espressione artistica e culturale, contemporanea e non, ha tre grandi passioni: l’arte tessile, l’arte africana e l’arte islamica.
Consulente in ambito arte, crede fermamente che la cultura abbia il potere di travalicare i confini delle singole nazioni, creando una comunità globale di appassionati e professionisti.
Nel 2018 ha fondato il marchio registrato Art Nomade Milan, con cui si occupa di divulgazione digitale sui principali social media.
Perché, “L’arte è un incidente dal quale non si esce mai illesi” (Leo Longanesi).

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