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In conversazione con Silvia Giambrone - cosa significa essere un'artista donna
30/07/2021

In conversazione con Silvia Giambrone - cosa significa essere un'artista donna


In questo appuntamento con la rubrica 100%SHE abbiamo fatto quattro chiacchiere con l’artista Silvia Giambrone, artista siciliana classe 1981 che vive e lavora tra Roma e Londra.
Silvia Giambrone è un’artista che utilizza diversi medium espressivi, dalla performance, alla scultura, alla video art, per affrontare discorsi e tematiche che appartengono alla sfera della realtà, al mondo.
Con Silvia abbiamo parlato del suo ruolo e della sua esperienza di artista donna all’interno della società e della sua installazione “Galleria delle Ombre” fatta in occasione della sfilata di Dior Autunno/Inverno 2021/2022 all’interno di Versailles.

Attraverso una pratica artistica che utilizza linguaggi diversi Silvia Giambrone esplora la politica del corpo, con un focus sulla violenza che facciamo e che subiamo, sia fisica che psicologica.
L’artista rivolge uno sguardo critico all’ambiente domestico nel quale fa emergere dei rimossi, dei campanelli d’allarme grazie ai quali riusciamo ad accorgerci di ciò che per noi è familiare e abbiamo smesso di osservare. L’artista approfondisce la tematica e il tabù della violenza nell’ambiente domestico, cercando di capire e dissotterrare la tendenza dell’umanità verso la brutalità, mettendo allo stesso tempo in discussion la sua domesticazione e normalizzazione.

La serie di lavori con la quale tocca maggiormente questa tematica è quella degli specchi che realizza togliendo lo specchio dalla cornice e riempiendo quest’ultima con cera e spine. Lo specchio è comunemente inteso come un oggetto che riflette l’identità di chi ci si mette davanti, in questo caso diventa però un oggetto rivelatore dal quale istintivamente ci allontaniamo perchè temiamo ci possa fare male, pungere. L’unione di cera e spine attrae e respinge allo stesso l’osservatore dell’opera e diventa testimone della violenza presente in un determinato contesto.



Vi lasciamo ora all’intervista all’artista Silvia Giambrone nella quale ci racconta cosa significhi essere un’artista donna oggi e come poter cambiare la visione patriarcale della storia.

F.M. Senti di essere discriminata in quanto donna?

S.G. La discriminazione che percepisco c’è sicuramente, non ho dubbi, ma è espresso in un modo così sottile, così subdolo che faccio fatica a descriverla con precisione.
Sono cresciuta in Italia, dove c’è una certa tradizione nelle relazioni uomo-donna nella quale sembra che se uno ti discrimina perchè donna, in qualche modo tu ti debba sentire lusingata. Oggi probabilmente è diverso, ma quando andavo all’università, all’Accademia di Belle Art di Roma, un professore mi ha detto: “Silvia ti do 30 perchè sei molto bella”, e questo mi ha infastidito molto perchè in qualche modo mi sminuiva, ma per lui, che aveva quasi 70 anni, quello era un compliment, non poteva capire che a me dava molto fastidio. Stiamo parlando di un livello di discriminazione sottile, ma se il professore in questione avesse dovuto scegliere qualcuno da mandare ad un premio, non avrebbe mandato me, non sono sicura del fatto che nin mi avrebbe mandata perchè donna, ma in fondo so che mi prendeva meno seriamente dei miei compagni uomini.

F.M. Ti senti discriminata perchè donna quando si parla di mercato dell’arte? Credi che se fossi stata un uomo le tue opere avrebbero avuto quotazioni più alte?

S.G. Penso che, a livello di mercato, le donne sono inevitabilmente limitate, prima di tutto perchè le acquisizioni di lavori di artiste donne da parte dei musei sono infinitamente minori di quelle di lavori di artisti uomini e questo, nel tempo, crea una differenza, un distacco.
Credo che avrei avuto più mercato se fossi stata un uomo? Penso che sarei in grado di crearmi il mio mercato più facilmente, proprio per quelle dinamiche di cui ti ho parlato prima, agirei con più spontaneità e libertà e questo mi favorirebbe, non posso provarlo, è un’opinione personale.
Quando avevo 20 anni e non ero ancora all’Accademia di Belle Arti, mi trovavo ad un matrimonio a Reggio Emilia ed ero già molto appassionata di arte e volevo iscrivermi all’Accademia; mi ricordo di aver conosciuto questo pittore che mi hanno presentato degli amici di famiglia dicendogli “sai che anche Silvia vuole diventare artista” e lui mi disse “Oh bene, ma questi sono lavori per uomini”, in quell momento non potevo credere che quell pittore avesse fatto tale affermazione con così tanta spavalderia. Credo che, in modo nascosto, questo pensiero risieda ancora nella mente di molti, anche di molte donne.

F.M. Raccontaci dell’esperienza con Dior a Versailles. Cosa ha significato per te installare i tuoi specchi nella galleria degli specchi di Versailles?

S.G. Il progetto con Dior è stato molto importante per me, a livello artistico perchè mi ha permesso di mettere insieme una serie di elementi che appartengono al mio lavoro e che era da tanto tempo che volevo mettere insieme. Quando la curatrice Paola Ugolini mi ha comunicato la volontà di Mariagrazia Chiuri di avermi per creare l’installazione per la sfilata ho visto un mio grande sogno realizzarsi. Era da tempo che pensavo a come i miei specchi sarebbero stati all’interno della galleria degli specchi di Versailles.
Per me sostituire, o meglio coprire, gli specchi del re con i miei fatti di cera e spine è un grande traguardo raggiunto, è una riappropriazione di un luogo storicamente patriarcale, di un luogo di potere.
Spesso ci si interroga sulla destinazione che alcuni monumenti che non rappresentano più la nostra storia dovrebbero avere, io ritengo che debbano essere destinati ad ospitare opera d’arte di artiste donne così che noi artiste possiamo rivendicare ciò che in passato è stato tolto alle artiste donne prima di noi e possiamo liberare alcuni luoghi della loro connotazione patriarcale, questa dovrebbe essere una delle nostre vocazioni.


Redazione online

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