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Vedere attraverso la materia: Flavio Tiberio Petricca
02/06/2021

Vedere attraverso la materia: Flavio Tiberio Petricca


di Elisabetta Roncati

Sabino, classe 1985, Flavio Tiberio Petricca con la sua spinta creatrice compie quelle che all’apparenza sembrano magie.
Trasforma il sintetico in "organico", l’antico in contemporaneo, restituisce alla città ed alla cittadinanza elementi architettonici ed opere d’arte andando ben oltre il concetto di street-art.
Non utilizza molto spesso la forma espressiva dell’installazione, ma quando lo fa l’attenzione da parte del pubblico è massima.
Le sue figure, infatti, appaiono nel tessuto urbano come corpi estranei che vengono ben presto assimilati da ciò che li circonda, senza però perdere la loro specificità. È così che i passanti si avvicinano ad esse, le toccano senza timore, le modificano, a volte le prelevano. Sembra strano menzionare queste azioni trattando d’arte. In realtà nella poetica di Petricca il tatto e l’interazione sono due componenti fondamentali, come ci spiegherà lui stesso nelle prossime righe.





Inoltre la sua ricerca si focalizza sul concetto di figura che diventa feticcio, molto spesso nera come la pece o come il catrame di cui è composta. Questa indagine si lega profondamente all'analisi dei materiali a cui accennavamo inizialmente, al sintetico che diventa "organico", in una circolarità di ragionamento che crea un modus cogitandi completo e strutturato.

Addentriamoci dunque in questo ecosistema accompagnati dall’artista stesso.

E.R. Possiamo definirti uno scultore o è meglio un creativo che indaga a 360 gradi i media espressivi?

F.T.P. Posso definirmi uno scultore, ma forse non è il caso di collocarmi in una rigida schematizzazione.
Plasmo materiali industriali ed edili, resine, smalti, poliuretani, ma soprattutto il silicone.
Sviluppo e definisco, specie con quest’ultimo, nuove forme.
Mi riallaccio al bassorilievo antico in una prospettiva sensuale e contemporanea.



E.R. Dei cinque sensi uno in particolare è estremamente importante per il tuo percorso creativo: il tatto. Ci spieghi perché?

F.T.P. Il valore tattile delle opere costituisce il filo conduttore del mio percorso artistico.
Mia nonna materna, non vedente, ha instillato in me una sensibilità verso questo senso, una necessità di comunicare attraverso canali “altri”. Tutto ciò si è inevitabilmente riversato sul mio modo di fare ricerca, di toccare, di modulare e creare attraverso l’uso di una materia tangibile, duttile e intensa non solo per gli occhi.


E.R. Interazione tra fruitore ed opera d’arte: come viene indagato e sviluppato questo aspetto nella tua ricerca?

F.T.P. Il fruitore delle mie opere è fagocitato, immerso, attirato da elementi materici.
Entra in contatto con i sentimenti, le angosce, le ossessioni che i miei lavori, vera e propria entità fisica, trasmettono.
Si crea empatia, coinvolgimento sensoriale ed estetico.





E.R. Le tue opere sono spesso costituite da materiali sintetici. Un utilizzo di elementi artificiali che, paradossalmente, diventano organici. Come mai questa scelta?

F.T.P. La scelta di questi materiali risiede nella potenzialità che ho scorto in essi: permettono di essere toccati, scavati, maneggiati. Mi consentono di raccontare di nuvole, di acqua, di vento. Traducono le sensazioni, imprimono un racconto su un bassorilievo, consentono di tradurre elementi introspettivi in tangibile espressività.


E.R. Ti confronti spesso con la statuaria classica, rivisitandola e collocandola, o meglio riconsegnandola, alla città ed alla strada, specie in alcune tue installazioni. Parlacene.

F.T.P. La statuaria ed altri elementi classici sono un altro aspetto di vissuto che riporto quasi ossessivamente nei miei lavori. Fanno parte di me, del mio DNA, sono elementi presenti nella mia infanzia che ho rielaborato, raccontato, descritto e rimaneggiato con la mia personale poetica.


E.R. Ci descrivi un'opera esposta da ArteA Gallery su Artsail che rispecchia particolarmente la tua poetica?

F.T.P. L’opera che sicuramente preferisco è Clouds (light blue) perché è quella che più si avvicina ad una sintesi tangibile del mio concetto d’arte.




Genovese di nascita, milanese d’adozione, Elisabetta Roncati ha deciso di unire formazione universitaria economica/manageriale e passione per la cultura con un unico obbiettivo: avvicinare le persone all’arte in maniera chiara, facilmente comprensibile e professionale. Interessata ad ogni forma di espressione artistica e culturale, contemporanea e non, ha tre grandi passioni: l’arte tessile, l’arte africana e l’arte islamica.
Consulente in ambito arte, crede fermamente che la cultura abbia il potere di travalicare i confini delle singole nazioni, creando una comunità globale di appassionati e professionisti.
Nel 2018 ha fondato il marchio registrato Art Nomade Milan, con cui si occupa di divulgazione digitale sui principali social media.
Perché, “L’arte è un incidente dal quale non si esce mai illesi” (Leo Longanesi).

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