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In conversazione con Renate Bertlmann: una forma provocatoria di femminismo
21/05/2021

In conversazione con Renate Bertlmann: una forma provocatoria di femminismo

In questo appuntamento con la rubrica 100%SHE non possiamo non parlare di una delle madri fondatrici del femminismo nell’arte: l’artista austriaca Renate Bertlmann che abbiamo avuto il piacere di intervistare. L’artista ci parla delle disuguaglianze e della discriminazione subita durante la sua carriera e di come sia riuscita a superarle e trasformale in un punto di forza per la sua arte.

Nata a Vienna nel 1943 Renate Bertlmann si è formata all’Accademia della sua città, nella quale è stata poi anche insegnante. La sua ricerca artistica si concentra sulla relazione tra le forme maschili e femminili, sulla fisicità e sull’identità, e sul ruolo della donna nel mondo di oggi.
Renate Bertlmann affronta temi quali i vincoli che la società pone sulle donne, il sessismo, il fallocentrismo, la violenza sessuale e la gravidanza attraverso i linguaggi della performance, della fotografia, della pittura e della scultura.
Renate Bertlmann è conosciuta per il suo impegno femminista e per opere che indagano il ruolo della donna nella società contemporanea.
Nel 2019 Renate Bertlmann ha rappresentato l’Austria alla Biennale di Venezia, in un padiglione curato da Felicitas Thun-Hohenstein; fu la prima volta nella storia che un’artista donna rappresentò l’Austria a Venezia.

Vi lasciamo ora all’intervista con Renate Bertlmann nella quale chiacchieriamo di disuguaglianza di genere nel settore e nel mercato artistico.
Chi meglio dell’artista stessa può parlarci della sua esperienza?


F.M. Pensi che la disuguaglianza di genere esista nel mondo dell’arte e nel mercato dell’arte?

R.B. Naturalmente esiste da secoli e durerà, perché tali cambiamenti fondamentali riguardanti la parità di diritti tra uomini e donne hanno bisogno del loro tempo. Siamo tutti sepolti sotto il nostro condizionamento sociale e c’è bisogno di grande coraggio per affrontare le nostre repressioni. Solo gli uomini sono geni, questa opinione è radicata molto profondamente e durerà. Pertanto, eventi come la mia presentazione personale, nel 2019, al padiglione della Biennale di Venezia come prima artista femminile austriaca sono importanti, nel senso che costruiscono un esempio per invertire le disuguaglianze nell’arte e nella società.


F.M. Partendo dalla tua formazione accademica, hai incontrato ostacoli nel tuo percorso semplicemente a causa di essere una donna?


R.B. Quando negli anni ’60 ho iniziato i miei studi all’Accademia di Belle Arti di Vienna è stato un grande shock. Quasi non c’erano studentesse e professoresse. Il mio professore non era affatto interessato a me e al mio modo di lavorare. Non avevo la possibilità di discutere questioni e problemi artistici o personali. Mi sentivo completamente persa. Ma nel 1972 ho scoperto l’innovativo saggio di Linda Nochlin Why have there been no great women artists. Questo è stato per me una sorta di innesto in termini di sviluppo di una mia coscienza femminista.


F.M. Al di là del campo educativo, pensi di essere mai stata oggetto di discriminazione nel settore dell’arte?

R.B. Il mio lavoro è stato ed è ancora molto provocatorio, soprattutto per gli uomini, perché mi concentro sul tema della sessualità, nonché sul ruolo e sullo status delle donne e sul rapporto tra i due sessi. Faccio questo in modo molto ironico, creando una sorta di “scherzo delle donne”. Ciò richiede che gli uomini mettano da parte il loro orgoglio ferito e si lascino disarmare da questo approccio a loro non familiare. La maggior parte degli uomini sono però ancora molto seri riguardo alla loro sessualità. Per questo motivo, la maggior parte degli uomini ha rifiutato me e il mio lavoro e raramente ho ricevuto inviti per mostre e i collezionisti non hanno acquistato le mie opere. Non ero visibile sulla scena delle gallerie e nel mercato dell’arte fino a sei anni fa. Non ho chiesto a nessun gallerista e nessun gallerista mi ha chiesto di lavorare con lui o con lei. Ora sono rappresentata e promossa da una galleria a Londra e da una a Vienna e sono notata da musei e collezionisti.


F.M. Durante la tua carriera artistica ti sei mai sentita esclusa solo per il fatto di essere donna?


R.B. Negli anni ’70 e ’80 non sono stata presa sul serio perché donna. In diverse occasioni mi è stato impedito di esporre i miei lavori. La ragione principale era che il mio lavoro era femminista e questo non piaceva ai galleristi uomini e ai direttori di museo, non erano minimamente interessati. L’esclusione più ridicola è stata fatta da un gallerista negli anni ’70, mi ha detto: “Non esibisco il tuo lavoro perché sei sposata, quindi non ne hai bisogno”.

Ciò che realmente è cambiato dagli anni ’70 è stata la ricezione del mio lavoro da parte delle donne. Non mi accusano più di essere dipendente dal fallo. Al contrario, apprezzano l’ironia e ammirano l’approccio coraggioso a questi temi delicati.
Redazione online

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