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“E il naufragar m'è dolce in questo mare”: intervista a Riccardo Gusmaroli
19/05/2021

“E il naufragar m'è dolce in questo mare”: intervista a Riccardo Gusmaroli


di Elisabetta Roncati

Origami, oggetti di uso quotidiano, vortici di bianche barchette che tracciano, tono su tono sulla tela, rotte immaginarie con calcolata musicalità. Sono la grande eleganza formale e la poesia a caratterizzare l’espressività di Riccardo Gusmaroli.
Nato a Verona nel 1963 l’artista ha fatto di Milano una sua seconda casa, scegliendo di viverci e lavorarci. L’equilibrata composizione che si nota nelle sue creazioni proviene dall’iniziale attività di fotografo d’architettura e still life. È infatti nel 1984 che fonda Studio Acqua, dopo una duratura esperienza con Studio Azzurro.
Già in quei primi anni allena la fantasia nell’eseguire piccole composizioni di manufatti correnti: un elemento che lo avvicinerà sempre più all’arte contemporanea. Sarà grazie all’intuizione del gallerista Franco Toselli che inizierà ad esporre nel 1991. Da lì il suo percorso sarà sempre in ascesa.
Da subito attrae gli osservatori con la grande libertà nella scelta dei materiali che fungono da superfici delle sue opere, fino ad arrivare alle creazioni degli ultimi decenni.
Uova “ricamate” a guisa di antichi pizzi, buchi esteroflessi, origami: Riccardo Gusmaroli procede per sottrazione, in una leggerezza compositiva che alterna pieni e vuoti, luci ed ombre.
Rappresentato sulla piattaforma Artsail dalla Galleria Glauco Cavaciuti, sarà l'artista stesso a ripercorre nelle prossime righe la sua carriera e le fonti di ispirazione, riuscendo a tramettere al lettore la musicalità e poesia che lo caratterizza.

E.R. Guardare sempre avanti affrontando nuove sfide, senza rimanere a braccia conserte. Questo il significato della citazione che introduce online al mondo di Riccardo Gusmaroli. Che significato ha per lei il concetto di tempo e come questo viene trasposto nelle opere?

R.G. Il tempo è solo un’attesa che passa fra quando penso un’opera ed il suo inizio. Il tempo successivo della realizzazione viene tramutato in musica e ritmo, spesso non sapendo fin dove si possa arrivare.

E.R. Ha mosso i suoi primi passi da fotografo negli Anni Novanta: quanto è rimasto di quella modalità espressiva nelle creazioni dell’ultimo decennio? Potemmo definire la fotografia il substrato della sua poetica?

R.G. La fotografia ed i suoi canoni sono sempre presenti nel mio lavoro. La moltiplicazione, i pattern e la sintesi sono chiaramente caratteristiche fotografiche che si rifanno anche alla comunicazione e alla pubblicità. L’immagine finale deve, come una fotografia, avere un suo equilibrio nella costruzione ed una sua armonia.

E.R. La fragilità della carta, l’apparente semplicità degli oggetti quotidiani combinati ai più disparati materiali di fondo: come sono nati i suoi ultimi cicli creativi?

R.G. Partono tutti da materiali essenziali di uso comune, proprio per facilitare la comunicazione e l’approccio semplice e quasi familiare con l’opera. Ho sempre indagato il "banale", il quotidiano. Pensiamo alle uova, forse l’oggetto più “normale” che ci sia, ma che traspira vita e perfezione e che spesso non consideriamo. Se riusciamo a dare altre letture dello stesso oggetto ci accorgiamo di non averlo mai visto per davvero. Stessa ricerca con le barche di carta, oggetto fatto da tutti i bambini almeno una volta nella vita, percepito, a torto, sempre come un gioco e non come un atto di comunicazione.





E.R. Possiamo dunque parlare, in un certo senso, di scultura?

R.G. Penso che tutto sia scultura, anche un quadro con le sue ombre o un basso rilievo come un vortice di barche, che in base alla luce del sole cambia i propri volumi.

E.R. La posizione calibrata dei piccoli origami sulla tela richiama una sorta di sinfonia. La musica ha un ruolo nelle sue composizioni?

R.G. La musica è fondamentale: mi dà il ritmo e muove la composizione. L’opera finale risulta quasi uno spartito musicale organizzato con le sue armonie e melodie.





E.R. Spesso l’hanno accostata a Piero Manzoni e ad Alighiero Boetti. Si sente in qualche modo vicino alla creatività di questi artisti?

R.G. Assolutamente vicino, poiché abbiamo in comune alcuni canoni come il non colore, la leggerezza e un po' di ironia. Poi, come diceva Vincenzo Agnetti “dimenticato a memoria”: siamo ciò che abbiamo visto e vissuto, anche se consciamente non lo ricordiamo.




Genovese di nascita, milanese d’adozione, Elisabetta Roncati ha deciso di unire formazione universitaria economica/manageriale e passione per la cultura con un unico obbiettivo: avvicinare le persone all’arte in maniera chiara, facilmente comprensibile e professionale. Interessata ad ogni forma di espressione artistica e culturale, contemporanea e non, ha tre grandi passioni: l’arte tessile, l’arte africana e l’arte islamica.
Consulente in ambito arte, crede fermamente che la cultura abbia il potere di travalicare i confini delle singole nazioni, creando una comunità globale di appassionati e professionisti.
Nel 2018 ha fondato il marchio registrato Art Nomade Milan, con cui si occupa di divulgazione digitale sui principali social media.
Perché, “L’arte è un incidente dal quale non si esce mai illesi” (Leo Longanesi).

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